Le cime innevate si scorgono a fatica tra i palazzi di Blagoevgrad, nella Bulgaria occidentale, nonostante alcune delle montagne che circondano la città sfiorino i 3000 metri. Nonostante sia maggio inoltrato, il clima è ancora decisamente rigido. La città è una grande colata di cemento che stona non poco con il paesaggio circostante, le antiche case di pietra sono state inglobate dal calcestruzzo e il centro storico è stato soppiantato, in quanto a visibilità, dalle nuove vie pedonali del commercio, dei grandi negozi e delle luci al neon. Al Rilski Manastir, 40 chilometri più a nord, l'atmosfera è diversa. Piove a dirotto, la temperatura è calata drasticamente, ma non c'è da stupirsi: siamo incuneati tra i monti Rila a più di 1.100 metri. Qua in mezzo sorge un enorme monastero, costruito nel X secolo, vero e proprio simbolo per gli ortodossi di Bulgaria. È sufficiente però spostarsi due-tre vallate più a sud, a meno di 50 chilometri in linea d'aria, perché alle geometriche architetture cristiane si alternino quelle più sinuose tipiche degli edifici religiosi islamici. A una manciata di chilometri dal tempio dell'ortodossia bulgara, i minareti svettano indisturbati al fianco degli abeti, imitandone la shilouette. Tra queste montagne vivono infatti migliaia di bulgari di religione islamica, chiamati in maniera dispregiativa Pomaks. Molti di loro hanno una duplice impronta etnica, in cui l'identità locale di provenienza turca si mischia a quella bulgara ed europea. Per scoprire l'origine della loro particolare carta d'identità bisogna tornare indietro nel tempo fino al periodo ottomano, durante cui molti locali furono convertiti all'Islam e si ritrovarono a condividere i propri villaggi con i nuovi arrivati turchi. È strano questo posto. Apparentemente, bastano due vallate a separare oriente e occidente, due vallate nello stesso paese, stessa regione, stessa provincia. Le strade sono dissestate e tortuose, non ci sono grandi centri e in estate i campi si popolano di persone che raccolgono a mano tuberi, verdura e frutta. La statale che da Blagoevgrad porta a Plovdiv e da lì al Mar Nero passa proprio da queste vallate. Dopo Bansko, centro sciistico frequentatissimo d'inverno soprattutto dai greci, la strada sembra lasciarsi alle spalle gli anni Duemila e proseguire indietro nel tempo. Ai bordi delle strade si susseguono i carretti, i campi si popolano di aratri a cavallo e di donne che seminano a mano. Si prosegue fino ad arrivare al valico di Avramovo, a 1200 metri, dove alla strada si affianca un'antica linea ferroviaria che attraversa la lunga vallata collegandola alla città di Septemviri: un percorso di 120 chilometri percorsi in circa 6 ore. Ritornando verso ovest non si vede l'ombra di un negozio per chilometri e chilometri. A Kraishte, un motel/ristorante/bar senza insegne offre ai viandanti una sola scelta per il pranzo: una sorta di bruschetta con carne macinata e aglio. Viaggiando per queste strade sembra quasi che l'Europa si sia dimenticata di questa parte del suo territorio. Su di essa è difficile trovare dei pareri o delle opinioni, positive o negative che siano. Ciò che più manca a questa regione è infatti un attestato di esistenza, che le permetta di farsi vedere, conoscere e apprezzare agli occhi dell'Europa "che conta".
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Ferroviaggi - Fotografie Marco Carlone