Il Montenegro: un piccolo rombo di terra affacciato sull’Adriatico capace di offrire scorci diametralmente opposti in un’area poco più grande del Trentino Alto Adige.
Antichissime città costiere di edificazione veneziana come Kotor e Bar, dove parole e simboli italiani restano ancora oggi scolpiti nelle mura; le aree umide del Lago di Shkodër, il più grande dei Balcani, con i suoi panorami quasi amazzonici, tropicali. Ma anche i giganteschi calcari a strapiombo sull’Adriatico del Lovćen e, più in su, le montagne e gli altipiani del Durmitor, che alternano un profilo dolce e sinuoso alle gole e ai canyon della Piva e della Tara, tra i più grandi del mondo.
Un luogo dove puoi pranzare sulle spiagge di Budva, a 40 gradi, circondato da turisti russi e mostri di cemento, e cenare a Žabljak con la giacca invernale, a 7 gradi, tra abeti, orsi e qualche casetta coi tetti in lamiera. Il tutto a meno di 200 chilometri di distanza e tre ore di auto.
Il Montenegro è un luogo che sta imparando a vivere di e con il turismo, a tratti visibile nelle sue fattezze più degeneri di cemento e deregolamentazione, altre volte più rispettoso e amalgamato in modo discreto al paesaggio e alla natura.
Luogo di storie partigiane e poche bandiere sventolanti l’orgoglio nazionale, a differenza di tutti i vicini di confine: chissà se la motivazione sia da rintracciare nel temperamento calmo e ospitale dei propri abitanti oppure se sia il risultato di una giovane indipendenza ottenuta con un pacifico referendum anziché con le armi
Antichissime città costiere di edificazione veneziana come Kotor e Bar, dove parole e simboli italiani restano ancora oggi scolpiti nelle mura; le aree umide del Lago di Shkodër, il più grande dei Balcani, con i suoi panorami quasi amazzonici, tropicali. Ma anche i giganteschi calcari a strapiombo sull’Adriatico del Lovćen e, più in su, le montagne e gli altipiani del Durmitor, che alternano un profilo dolce e sinuoso alle gole e ai canyon della Piva e della Tara, tra i più grandi del mondo.
Un luogo dove puoi pranzare sulle spiagge di Budva, a 40 gradi, circondato da turisti russi e mostri di cemento, e cenare a Žabljak con la giacca invernale, a 7 gradi, tra abeti, orsi e qualche casetta coi tetti in lamiera. Il tutto a meno di 200 chilometri di distanza e tre ore di auto.
Il Montenegro è un luogo che sta imparando a vivere di e con il turismo, a tratti visibile nelle sue fattezze più degeneri di cemento e deregolamentazione, altre volte più rispettoso e amalgamato in modo discreto al paesaggio e alla natura.
Luogo di storie partigiane e poche bandiere sventolanti l’orgoglio nazionale, a differenza di tutti i vicini di confine: chissà se la motivazione sia da rintracciare nel temperamento calmo e ospitale dei propri abitanti oppure se sia il risultato di una giovane indipendenza ottenuta con un pacifico referendum anziché con le armi